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Dott.ssa Elisabetta Acomanni

Medico Psichiatra Psicoterapeuta

 

Ethological assessment of primary depression

Fossi, C. Faravelli, S. Rosati, A. Ambonetti, E. Acomanni.

Department of Psychiatry, University of Florence, Italy.

(Abstracts, III World Congress of Biological Psychiatry, Stockholm 1981)

Psychiatric assessment by means of rating scales has been widely criticised on many points: artificial interview-setting, influence of cultural and verbal variables, etc.

An alternative method for evaluating psychiatric behaviour and change of symptoms can be drawn from Ethology.

Such an assessment-method has been applied in evaluating 30 primary depressed patients before treatment and at the fourth week of therapy.

The charts of the patients are clearly differentiated before and after therapy, especially where affiliation behaviour, non social behaviour, pathological behaviour and verbal communication are concerned.

A definite difference was also noticed on the behaviour charts between responders and not responders (evaluated on the basis of 3 rating scales for depression). There was also a significant correlation between the observed variation and the items specifically concerning mood (1, 2, 3) on the Hamilton scale.

Therefore this method could be useful for clinical assessment of psychiatric patients.

Rilettura del sintomo psicosomatico:
considerazioni e discussione su un episodio di cefalea

E. Acomanni, S. Zipoli – Scuola di Spec. in Psichiatria Università di Firenze (primario Prof. Pazzagli) – Specializz. Scuola S.I.P.M. (indirizzo Gestaltico-Bioenergetico)

(abstract del Convegno: Il corpo e la comunicazione non verbale, Chieti-Pescara, 23-26 maggio 1985)

Sommario

Gli A.A. propongono una rilettura del sintomo psicosomatico e offrono un esempio di interazione terapeutica con una paziente che presenta crisi ricorrenti di cefalea.

Partendo da schemi culturali di riferimento, ne tentano il superamento attraverso una visione critica dello stesso operare terapeutico.

Introduzione

Una delle finalità di questo lavoro è volta a mettere in evidenza come un sintomo psicosomatico spesso insorga sincronicamente ad un processo mentale bloccato (intendiamo, qui, per processo mentale la facoltà di formulare progetti che è propedeutica all’agire), un blocco che sembra possedere la funzione di impedire l’attuarsi, anche virtuale, di un comportamento che nell’ideologia del paziente è vissuto, all’inizio, come censurabile e che spesso riguarda l’espressione di sentimenti amorosi e/o aggressivi.

Il sintomo, anche somatico, è stato spesso considerato come il compromesso tra il desiderio e le tendenze che a tale desiderio si oppongono. La sua funzione appare, quindi, quella di carta assorbente di un contenuto psichico.

Ancora una volta, però, si opera una scissione tra corpo integro e incidente sintomo che si inserisce (nell’immaginario del paziente e in quello del terapeuta), come qualcosa di estraneo, di negativo, di paralizzante, un processo, un’emozione, un’espressione di sé. Ci pare utilissimo aver incontrato nella nostra formazione uno schema di riferimento di questo tipo, ma ci sembra altrettanto importante vivere lo schema come tale e non come un tutto in cui far convergere ogni dato, ogni esperienza.

Interessante può essere considerare che il sintomo costituisce l’emergente dell’indistinto psicosomatico, il segnale di una nuova situazione che non trova al momento attuale altra via per manifestarsi se non quella di darsi come rottura di un equilibrio precedente. E’ in tale momento che si situa un possibile intervento terapeutico.

Nel nostro caso l’attenzione è stata rivolta non solo a rintracciare le radici anche culturali del sintomo, ma anche ad attendere quale pianta si sarebbe sviluppata da questo seme.

Ciò implica, nella nostra visione, la considerazione che il sintomo costituisce una pausa tra un modello di vita, di espressione conosciuto dal paziente ed un nuovo ordine ; uno spazio in cui si situa la riflessione del paziente (e del terapeuta) in cui si intuisce la possibilità del ri-raccontare la propria storia. Questo ci porta anche a considerare le potenzialità con cui il sintomo mette in rapporto, e le prospettive offerte da una rivisitazione di questo.

Descrizione del caso e metodo

Ci sembra opportuno offrire un esempio:

Il personaggio del quale ci accingiamo a parlare è Silvana: una donna di quaranta anni, sposata da venti, che vive con il marito e un figlio di diciotto anni; lavora come impiegata. E’ in analisi da circa un anno per ricorrenti crisi d’ansia e per continui episodi di cefalea.

Il lavoro analitico si è svolto con una frequenza di due volte a settimana e con due sedute di gruppo gestaltico-analitico al mese di due ore e mezzo ciascuna. Al momento in cui Silvana partecipa al gruppo maratona di due giorni il lavoro analitico è volto a recuperare l’Eros e la sensualità, di cui S. avverte confusamente l’esistenza dentro di sé, ma che considera qualità ormai perdute.

La maratona inizia con una proposta di lavoro sul desiderio: su ciò che si può esprimere come tale nel “qui ed ora” e con la possibilità di giungere, con i propri passi, ad una realizzazione simbolica nell’arco di tempo costituito dalla durata del gruppo. Per ricostruire questo lavoro è stato necessario rivedere tutto ciò che è accaduto durante la maratona. Successivamente si è estrapolato il caso in oggetto.

Tentare un’operazione del genere rischia, effettivamente, di essere un procedimento riduttivo perché ciò che si è manifestato allora è stato il prodotto dell’interazione della paziente con il resto del gruppo, e quindi sotto questo profilo il prendere in considerazione, in maniera privilegiata, uno dei componenti rispetto agli altri può fornire una visione uni-laterale degli avvenimenti accaduti. Tuttavia cercheremo, per brevità di tempo, di mettere in luce alcuni passaggi centrati su quanto è successo a S.: sull’emergere del suo sintomo psicosomatico (la cefalea) e sul relativo intervento della paziente, del gruppo e dei due leaders.

L’esempio che riportiamo tende a mettere in rilievo ed a stabilire un rapporto tra ciò che è accaduto nel gruppo (l’insieme degli eventi e delle verbalizzazioni) e ciò che si è manifestato tramite la cefalea. All’inizio del gruppo Silvana chiede visibilmente un “riconoscimento” attraverso l’ostentazione di qualità apprezzabili: si mostra decisa, sicura e coraggiosa; si assume pubblicamente la responsabilità delle azioni e delle immagini rivolte all’espressione e alla realizzazione del desiderio: essere donna a tutti gli effetti, essere seducente, essere in grado di stare accanto all’uomo da adulta. Silvana si prende letteralmente il suo spazio nel gruppo, agendo la sua rivalità verso le altre donne del gruppo. A questo punto dice di sentirsi appagata, sembra aver realizzato il suo progetto.

In un secondo momento inizia una progressiva chiusura di Silvana ed il suo disagio diviene sempre più palese. Il suo atteggiamento si fa più freddo e distaccato, tende a porsi fuori rapporto, la mimica si spegne. La cefalea fa il suo ingresso, in breve tempo “Il feroce mal di testa” raggiunge la sua massima intensità.

Silvana si sente sempre più bloccata.

Da uno dei leaders viene proposto ai presenti un oggetto simbolico che esprime l’Eros e la sensualità, con l’invito, per chi ne voglia entrare in possesso, di prenderselo. Silvana, dopo una iniziale esitazione se ne appropria. L’intensità della cefalea inizia, a questo punto, a decrescere.

Uno dei partecipanti, un uomo giovane riesce a farsi cedere da Silvana l’oggetto simbolico in questione dandole in cambio il proprio amore filiale. Silvana verbalizza il suo stato d’animo e parla di mestizia.

Viene richiesto un “giro di impressioni” da parte dei presenti che danno a Silvana lo stimolo per trarre le proprie conclusioni sull’accaduto. Rileva il bluff: si rende conto di aver agito per soddisfare le aspettative dei leaders ed infine conclude che ha compreso questo: che entrare una sola volta in possesso di una qualità importante e significativa non vuol dire necessariamente averla acquisita per sempre. A questo punto la cefalea è sparita. Silvana non si percepisce più così onnipotente come all’inizio del gruppo quando sembrava che bastasse agire un comportamento per assumersi magicamente le qualità desiderate, ma è riuscita ad elaborare un pensiero in proprio su ciò che è accaduto. Questo aumento di consapevolezza di Silvana si è accompagnato ad un movimento di disidentificazione dalle figure dei terapeuti.

Risultati e conclusioni

Nel momento in cui Silvana aveva toccato l’acme della propria realizzazione muovendosi, agendo i propri desideri, era avvenuto qualcosa. Si era assistito, infatti, all’emergere di un blocco, al configurarsi di un disagio crescente, visibilmente rintracciabile nel progressivo impoverimento della mimica, della gestualità, nella comparsa di una maggiore freddezza, in un senso di straniamento anche spaziale del gruppo.

Silvana aveva vissuto e creato situazioni “come se”, agendo intrappolata da quello che era diventato il nuovo “ideale dell’Io” (essere come i terapeuti). Il processo inverso, di sblocco, si situa nel momento in cui a Silvana viene offerta la possibilità di entrare nuovamente in contatto con quei valori desiderati, tramite il simbolo. Di nuovo possedere alcune qualità preziose.

Emerge in quel momento un qualcosa di nuovo e di sconosciuto, S. fa il suo ingresso in una diversa costellazione psichica, non tramite un acting-out, ma con la mediazione offerta dall’immagine.

Si rende conto dell’introiezione delle figure dei terapeuti, lentamente se ne distacca. Cede il simbolo, si rende conto in quel momento di aver ceduto qualcosa di cui era (nel suo immaginario) divenuta l’esclusiva proprietaria. Nel procedere del nostro lavoro terapeutico ci siamo confrontati con varie teorie, alcune delle quali ci sembra utile menzionare, per avere una possibilità di discussione anche sullo specifico del significato del sintomo psicosomatico.

Il nostro intervento sulla cefalea-blocco di Silvana non è stato di tipo interpretativo, perché ciò, a nostro parere, avrebbe continuato a favorire i processi di identificazione, e il comportamento “come se”. Eppure c’erano i presupposti per rintracciare le tensioni di natura aggressiva, l’irritazione contenuta di S. verso le presunte “rivali” del gruppo. Ma ci è parso riduttivo e pericoloso smascherare l’aggressività e farla agire più o meno direttamente. Abbiamo sentito e valutato come le tensioni di S. avessero qualcosa a che vedere con una autotrappola, con un non voler capire; o, come dice Marty, con “un’inibizione dolorosa dell’atto di pensare”.

In fondo S. si era iperadattata all’ambiente, aveva introiettato le regole sotterranee del gruppo. Nel far suo il modello di vita che le rappresentavano i leaders ci si era identificata e aveva sperimentato l’altro/a come una duplicazione primitiva di sé; entrando nella tematica dell’identico, del medesimo. L’orientamento pragmatico da lei adottato non le aveva certo permesso di evadere nei fantasmi. Dopo l’azione infatti, la comparsa del sintomo psicosomatico.

Anche Bergeret, parlando della organizzazione psicosomatica, mette in risalto l’incapacità del paziente di distinguere tra soggetto e oggetto, tra suo e non suo. E come, davanti a un conflitto latente, ma non conosciuto, si situi quell’atteggiamento di freddezza che blocca dei desideri e delle rappresentazioni.

Medard Bross ha parlato della malattia psicosomatica come di uno sprofondarsi nella corporeità.

Utile, quindi, pensare di poter permettere un cammino inverso, non solo attraverso la liberazione delle pulsioni, ma anche con la ripresa dell’attività immaginativa.

Ci rendiamo conto di aver svolto solo pochi passi verso la meta che ci proponiamo : quella di considerare il sintomo psicosomatico non soltanto come l’espressione di una condizione che il paziente presenta e che la terapia cura, ma di esaminare i concetti psicologici in cui la terapia stessa si colloca per far sì che si sappiano riconoscere gli strumenti, le funzioni, le fantasie, e gli artifici che si usano, e che questi stessi non siano applicati alla lettera, in modo tale che, come dice Hillman, la prima paziente della psicologia sia la psicologia stessa.

Bibliografia

ALEXANDER F., La médecine psychosomatique, ses principes et ses applications, Parigi, Payot, 1962.

AMMON G., Psicosomatica, Roma, Borla, 1977.

BERGERET J., Psicologia patologica, Milano, Masson, 1979.

BOSS M., Introduction a la médecine psychosomatique, Parigi, P.U.F., 1959.

CREMERIUS J., Psicosomatica clinica, Roma, Borla, 1981.

DONADIO G., Sulla sterilità psicogena, Annali di Freniatria e scienze affini, Minerva Medica, aprile-giugno 1964.

HILLMAN J., Le storie che curano, Milano, Cortina, 1974.

MARTY P., Aspect psychodinamique de l’etude clinique de quelques cas de céphalalgies, Rev. Francc. Psychanal. : 2 :216, 1951.

MARTY P. - DE M’UZAN M. - DAVID CH., L’indagine psicosomatica, Torino, Boringhieri, 1971.

MARTY P. - DE M’UZAN M., Le pensée opératoire, Revue Francaise de psychoanalyse: 27 :1345, 1357, 1967.

PASINI W. - HAYNAL A., Medicina psicosomatica, Milano, Masson, 1982.

SIFNEOS P.E., The prevalence of “Alexythimic” characteristic in psychoisomatic patient, In topic of psychosomatic research, Basel, Kargel, 1973.

Utilità dell’approccio etologico alla Clinica Psichiatrica:
metodologia e primi risultati di una ricerca sul campo

Luciano Fossi – Carlo Faravelli – Alessandra Ambonetti – Elisabetta Acomanni

(in “Neurologia Psichiatria Scienze Umane”, supplemento al vol. II, n. 1, aprile 1982, pp. 138-141)

Poiché il comportamento, e specificatamente quello patologico, è oggetto di studio da parte della psichiatria, era prevedibile l’incontro con l’etologia, la quale fin dal suo inizio, da Lorenz a Tinbergen, ha osservato e analizzato l’analisi del comportamento degli animali e, in questi ultimi anni, anche quello dell’uomo.

Si colloca a questo livello il particolare contributo che gli studi etologici possono apportare alla clinica psichiatrica, cioè a livello della metodologia: l’applicazione di tecniche rigorose ed obbiettive, già sperimentate negli studi animali, può dare fruttuosi risultati anche se utilizzata per il comportamento umano.

Solo da poco tempo sono apparse una serie di ricerche cliniche che hanno sfruttato queste metodiche (Cole, 1977; Esser e Deutsch, 1977; Faibanks e al., 1977; Hinchliffe e al., 1970; Mc Guire e al. 1977; Mc Guire e Polsky, 1979; Polsky e Mc Guire, 1979), i cui risultati sono incoraggianti.

Metodo

Partendo da tali considerazioni, è stato compiuto presso la Clinica Psichiatrica dell’Università di Firenze, uno studio su 20 pazienti (13 donne e 7 uomini) con diagnosi di depressione primaria secondo i criteri di Feighner (Feighner e al., 1972), che presentavano un punteggio superiore a 20 nella scala di Hamilton per la depressione (Hamilton, 1967). Base per le osservazioni è stata una tabella approntata partendo dal protocollo di Polsky e Mc Guire (Polsky e Mc Guire, 1979), contenente 117 items comportamentali.

Le osservazioni (tre prima dell’inizio della terapia e tre alla fine, cioè alla quarta settimana), compiute all’insaputa dei pazienti, di cui potevano così evidenziare il libero comportamento nel reparto, avevano la durata di mezz’ora ciascuna, durante la quale era codificato sia il comportamento ad un tempo prestabilito (osservazione istantanea), sia quello nei periodi intermedi (osservazione continuata).

Risultati

Nonostante la elaborazione sia ancora in corso, pensiamo possa essere utile esporre i primi dati parziali che evidenziano particolarmente la capacità di questo metodo nel rilevare i cambiamenti comportamentali avvenuti in seguito alla terapia.

In fig. 1 vediamo dettagliatamente a confronto alcuni gruppi di osservazioni, prima e dopo la terapia: innanzitutto possiamo notare come i comportamenti legati ad uno scopo subiscano un incremento, così come quelli sociali; opposto è l’andamento dei comportamenti patologici, che vengono più che dimezzati; anche i non sociali, sebbene in misura minore, presentano una diminuzione.

Ci sembra che questi dati rappresentino dei buoni indicatori dello stato di rallentamento psicomotorio proprio della sindrome depressiva, da una parte, e dell’effetto di sblocco della terapia, dall’altra.

La fig. 2 mette in evidenza gli stessi concetti in riferimento alla comunicazione verbale : appare chiaro come le osservazioni aumentino sia in totale, sia, in un’analisi più dettagliata, distinguendo l’“invia” dal “riceve” comunicazione verbale.

Conclusioni

Ci sembra che la metodica descritta possa essere di una certa utilità per gli studi psichiatrici, in quanto fino ad oggi, con l’eccezione di alcune scale compilate dal personale paramedico, non era utilizzabile un metodo che permettesse, a differenza delle rating scales, di poter avere un quadro obbiettivo dello stato del paziente, al di fuori delle situazioni artificiali e strutturate del colloquio, osservandone il reale comportamento nel reparto.

Inoltre, recentemente, sono state avanzate delle riserve sulla capacità delle rating scales della depressione di misurare obbiettivamente la situazione psicopatologica (Faravelli e al., 1980).

Possiamo affermare già da questi primi dati, che gli items comportamentali sono dei buoni indicatori della variazione clinica del soggetto, la quale può in questo modo essere quantificata.

Bibliografia

Cole S. R.: In Mc Guire and Fairbanks. Eds., Ethological Psychiatry, pp. 153-170, Grune and Stratton, New York, 1977.

Esser H., Deutsch R. D.: In Mc Guire and Fairbanks. Eds., Ethological Psychiatry, pp. 127-152, Grune and Stratton, New York, 1977.

Fairbanks L. A. e al.: In J. Psychiat. Res. 13, 193, 1977.

Faravelli C. e al.: Comunic. al Congresso: La depressione oggi. Firenze, 1980.

Feighner J. P. e al.: In Arch. Gen. Psych. 26, 57, 1972.

Hamilton M.: In Br. J. Soc. Clin. Psychol. 6, 278, 1967.

Hincliffe M. e al.: In Brit. J. Psych. 117, 571, 1970.

Mc Guire M. T. e al.: In J. Psychiat. Res. 13, 211, 1977.

Mc Guire M. T., Polsky R. H.: In The J. of Nervous and Mental Disease. 167, 651, 1979.

Polsky R. H., Mc Guire M. T.: In The J. of Nervous and Mental Disease, 167, 56, 1979.

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